IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
                           PER LA SARDEGNA 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 918 del 2012, proposto da: C. M. R. rappresentato e
difeso dagli avv.ti Patrizia Romagnoli e Nicola Norfo,  con  elezione
di domicilio come da procura speciale in atti; 
    Contro il Ministero dell'interno,  in  persona  del  Ministro  in
carica e il Ministero  dell'interno  -  Dipartimento  della  pubblica
sicurezza,  in  persona  del   legale   rappresentante   in   carica,
rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale  dello  Stato  di
Cagliari, presso i cui uffici in Cagliari sono per legge domiciliati; 
    Per l'annullamento: 
    del decreto del Capo della Polizia del 7 agosto 2012 con il quale
e' stata applicata nei confronti del ricorrente  la  destituzione  di
diritto ex art. 8,  lettera  c)  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 737 del 25 ottobre 1981; 
    ove occorra,  del  provvedimento  di  sospensione  cautelare  dal
servizio  disposta  con  decreto  del   questore   di   Nuoro,   Cat.
2.8/Ris/Pers./2011/93 del 23 marzo 2011; 
    di tutti gli atti comunque connessi e/o consequenziali. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del   Ministero
dell'interno e del Ministero dell'interno - Dipartimento di  pubblica
sicurezza; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'art. 52 decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, comma
8; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 giugno 2013 il dott.
Marco Lensi e uditi per le parti i  difensori  come  specificato  nel
verbale; 
    Col ricorso in esame si chiede l'annullamento degli atti indicati
in epigrafe, rappresentando quanto segue. 
    Il ricorrente e' un ex assistente capo della  Polizia  di  Stato,
effettivo  al  commissariato  distaccato  di  Pubblica  sicurezza  di
Siniscola (questura di Nuoro). 
    Il ricorrente e' stato indagato per i reati di cui agli  articoli
610 c.p., 628, comma 1 e 3 c.p., 61 n. 2 c.p. e articoli 4 e 7  della
legge n. 895/1967, nonche' per i reati di cui agli articoli 635 c.p.,
697 c.p., 703 c.p., 73, 80  comma  1,  lettera  d)  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990. 
    Con decreto del questore di  Nuoro  del  23  marzo  2011,  veniva
disposta nei confronti del  ricorrente  la  sospensione  cautelare  a
norma dell'art. 9, primo comma,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 737/1981. 
    Con la sentenza n. 81 del 29 febbraio 2012, divenuta irrevocabile
il 18 giugno 2012, il tribunale di  Tempio  Pausania  -  Ufficio  del
giudice dell'udienza preliminare, assolveva il ricorrente  dal  reato
di cui agli articoli 73, 80  comma  1  lettera  D)  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990,  perche'  il  fatto  non  e'
previsto dalla legge come reato, mentre, in relazione agli altri capi
di imputazione, il ricorrente veniva assolto perche', «al momento dei
fatti, era incapace di intendere e  di  volere  a  cagione  di  vizio
totale di mente». 
    Il giudice applicava nei confronti del ricorrente  la  misura  di
sicurezza della liberta'  vigilata  con  obbligo  per  lo  stesso  di
dimorare presso una comunita', psichiatrica residenziale indicata  in
sentenza e fissando in anni uno il termine di durata  della  predetta
misura di sicurezza. 
    Con decreto del 7 agosto 2012 il Capo della Polizia applicava nei
confronti del ricorrente la  destituzione  di  diritto,  ex  art.  8,
lettera c), del decreto del Presidente della  Repubblica  25  ottobre
1981, n. 737. 
    Il  ricorrente,  ritenendo  tale  provvedimento   illegittimo   e
gravemente lesivo, lo ha  impugnato  col  ricorso  in  esame,  per  i
seguenti motivi di diritto: 
    1) violazione dell'art. 8, lettera c), del decreto del Presidente
della Repubblica 25 ottobre 1981,  n.  737;  violazione  dell'art.  9
della legge n. 19 del 7 febbraio 1990; violazione dell'art. 24  della
Costituzione; carenza di potere; sviamento; violazione  dei  principi
del  rispetto  del  contraddittorio   e   del   giusto   procedimento
nell'esercizio dell'azione disciplinare; improcedibilita' dell'azione
disciplinare; 
    2) violazione dell'art. 8, lettera c), del decreto del Presidente
della Repubblica 25 ottobre 1981,  n.  737;  violazione  dell'art.  2
della legge n. 689/1981; violazione degli articoli 9 del decreto  del
Presidente della  Repubblica  n.  339/1982  e  129  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 3/1957; violazione  dei  principi  che
governano il procedimento disciplinare; carenza  di  potere;  difetto
dei presupposti per l'esercizio del potere disciplinare; 
    3) violazione dell'art. 3 della legge  7  agosto  1990,  n.  241;
eccesso  di  potere  per  difetto   dei   presupposti;   carenza   di
istruttoria; ingiustizia manifesta; 
    4) illegittimita' costituzionale dell'art.  8,  lettera  c),  del
decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737,  per
violazione degli articoli 3  e  97  della  Costituzione;  ingiustizia
manifesta e disparita' di trattamento.  Conclude  per  l'accoglimento
del ricorso. 
    Si sono costituiti in giudizio il  Ministero  dell'interno  e  il
Ministero  dell'interno  -  Dipartimento   di   pubblica   sicurezza,
sostenendo  l'inammissibilita'  e  l'infondatezza  nel   merito   del
ricorso, di cui si chiede il rigetto. 
    Con successive memorie le parti  hanno  approfondito  le  proprie
argomentazioni, insistendo per le contrapposte conclusioni. 
    Alla pubblica udienza del 19  giugno  2013,  su  richiesta  delle
parti, la causa e' stata trattenuta in decisione. 
    Col ricorso in esame si chiede  l'annullamento  del  decreto  del
Capo della Polizia del 7 agosto 2012, con il quale e' stata applicata
nei confronti del ricorrente la destituzione di diritto  ex  art.  8,
lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del  25
ottobre 1981; ove occorra, del provvedimento di sospensione cautelare
dal servizio  disposta  con  decreto  del  questore  di  Nuoro,  Cat.
2.8/Ris/Pers./2011/93 del 23 marzo 2011; di tutti gli  atti  comunque
connessi e/o consequenziali. 
    Deve  prendersi  atto  che  l'Amministrazione   resistente,   con
l'impugnato  decreto  del  7  agosto  2012,  ha   dato   applicazione
automatica e vincolata al chiaro e univoco disposto di una  norma  di
legge (art. 8, primo comma, lettera c), del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 737 del 25 ottobre 1981), in forza  della  quale,
senza eccezioni o distinzioni e  senza  la  necessita'  della  previa
instaurazione di un procedimento disciplinare,  l'Amministrazione  e'
tenuta  ad  applicare  la  destituzione  di  diritto  nei   confronti
dell'appartenente  ai  ruoli  dell'Amministrazione   della   pubblica
sicurezza al quale sia  stata  applicata  «una  misura  di  sicurezza
personale di cui all'art. 215 del codice penale ovvero di una  misura
di prevenzione prevista dall'art. 3 della legge 27 dicembre 1956,  n.
1423». 
    Cio' stante, ribadito che l'impugnato decreto del 27 agosto  2012
discende in via automatica e  vincolata  dal  disposto  della  citata
norma di legge, che stabilisce, per il caso in esame,  l'applicazione
della destituzione di diritto, senza eccezioni o distinzioni e  senza
la  necessita'  della  previa  instaurazione   di   un   procedimento
disciplinare, deve ritenersi che l'unica  eventuale  possibilita'  di
esito favorevole del ricorso  per  l'istante  risieda  nell'eventuale
dichiarazione di incostituzionalita' della norma in questione. 
    Deve  essere   conseguentemente   esaminata   la   questione   di
costituzionalita' dell'art. 8, primo collima, lettera c), del decreto
del Presidente della Repubblica n. 737 del 25 ottobre 1981, in  forza
del quale,  col  provvedimento  impugnato,  e'  stata  applicata  nei
confronti del ricorrente la destituzione di  diritto,  per  possibile
violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione. 
    In primo luogo, deve ritenersi la rilevanza di tale questione  di
costituzionalita'. 
    Contrariamente a quanto sostenuto dal  ricorrente  nella  memoria
del 14  febbraio  2013,  deve  ritenersi  che  la  norma  citata  sia
attualmente  in  vigore,  non  essendo  stata   abrogata   da   altra
disposizione di legge (in particolare, non dall'art. 9 della legge n.
19/1990 che concerne la destituzione di diritto a seguito di condanna
penale) o dichiarata incostituzionale a  seguito  di  sentenza  della
Corte costituzionale. 
    Cio' stante, e per le considerazioni gia' in precedenza espresse,
in presenza del disposto della norma in questione  che  espressamente
statuisce la destituzione di diritto a seguito  dell'applicazione  di
una misura di sicurezza personale di  cui  all'art.  215  del  codice
penale ovvero di una misura di prevenzione prevista dall'art. 3 della
legge 27 dicembre 1956, a 1423», risulta evidente che,  nel  caso  di
specie,  l'Amministrazione  era   senz'altro   tenuta   ad   adottare
l'impugnato provvedimento di destituzione, in forza  della  norma  in
questione,  posto  che  -  come  esattamente  rilevato  nel   decreto
impugnato  -  «gli  effetti  della  sottoposizione  alla  misura   di
sicurezza personale si producono "ope legis" sul rapporto di pubblico
impiego,    escludendo,    quindi,    ogni    potere    discrezionale
dell'Amministrazione».  Deve  altresi'  ritenersi  la  non  manifesta
infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 8,  primo
comma, lettera c), del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
737/1981, per possibile  violazione  degli  articoli  3  e  97  della
Costituzione. 
    A seguito della sentenza della Corte costituzionale 12-14 ottobre
1988, n. 971, e' stata - tra l'altro  -  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 8, primo comma lettera a), del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 737/1981. 
    Relativamente alla diversa fattispecie di  cui  alla  lettera  b)
della medesima norma, deve invece richiamarsi la sentenza della Corte
costituzionale 5-9 luglio  1999,  n.  286,  con  la  quale  e'  stata
dichiarata non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  29,  primo  comma,  del  codice  penale,   sollevata,   in
riferimento all'art. 3 della Costituzione. 
    Nell'ordinanza di rimessione il giudice «a quo» - richiamando  la
«ratio decidendi» su cui si fondano le sentenze n. 363 del  1996,  n.
239 del 1996 e n. 197 del 1993 e le ordinanze n. 201 del  1994  e  n.
137 del 1994 - avrebbe voluto che dalla pena accessoria - applicabile
secondo i principi generali  solo  in  base  a  una  condanna  penale
definitiva - non scaturisse  l'automatismo  della  rimozione,  ma  si
affermasse nella sua  ineludibilita'  l'interposizione  del  giudizio
disciplinare. 
    Con  la  sentenza  richiamata,  la  questione   di   legittimita'
costituzionale e' stata invece dichiarata  non  fondata  dalla  Corte
Costituzionale, evidenziandosi  come  «l'affermazione  del  principio
della  necessita'  del  procedimento  disciplinare,  in  luogo  della
destituzione di diritto dei pubblici dipendenti, non concerne le pene
accessorie di carattere interdittivo, in genere,  ne'  l'interdizione
dai pubblici uffici, in  particolare.  La  risoluzione  del  rapporto
d'impiego costituisce, in questo caso, soltanto un effetto  indiretto
della pena accessoria  comminata  in  perpetuo",  per  cui,  in  tale
ipotesi, la destituzione di diritto costituisce soltanto  un  effetto
indiretto della «pena accessoria comminata in perpetuo». 
    Alla luce dei principi in proposito espressi nelle sentenze sopra
richiamate  e  avuto  riguardo  al  caso  di  specie  concernente  la
destituzione di diritto conseguente all'applicazione di una misura di
sicurezza personale ex art. 215  del  codice  penale,  non  puo'  che
rilevarsi come in tale ipotesi la destituzione di diritto  non  possa
configurarsi quale mero effetto indiretto  dell'applicazione  di  una
misura accessoria di carattere interdittivo «comminata in  perpetuo»,
non potendosi qualificare la  misura  di  sicurezza  personale  della
liberta' vigilata quale misura di carattere  interdittivo  «comminata
in perpetuo», stante, in  particolare,  la  natura  temporanea  della
misura medesima la cui durata, nel caso di specie, e' stata stabilita
dal giudice penale in anni uno, soggetta  a  rivalutazione  da  parte
della competente autorita' in relazione al  perdurare  o  meno  della
pericolosita' sociale del soggetto interessato,  con  la  conseguenza
che debbano ritenersi valide per l'ipotesi in esame le considerazioni
di  carattere  generale  che  hanno  portato  alla  dichiarazione  di
incostituzionalita' della fattispecie di cui alla  lettera  a)  della
norma in esame e cioe' della destituzione di diritto  in  conseguenza
di condanna penale ed oggetto delle richiamate sentenze  della  Corte
costituzionale n. 971 del 1988, n. 197 del 1993 e n. 363 del 1996. 
    Ulteriori considerazioni depongono nel senso della non  manifesta
incostituzionalita' della norma in questione. 
    In  sede  penale  il  ricorrente  e'  stato  assolto  dai  «reati
ascrittigli perche' lo stesso, al momento dei fatti, era incapace  di
intendere e di volere a cagione di vizio totale di mente». 
    Nella medesima sede penale, in considerazione della pericolosita'
sociale del ricorrente, al medesimo e' stata applicata la  misura  di
sicurezza personale della liberta' vigilata, la cui durata, nel  caso
di specie, e' stata stabilita dal giudice penale in anni uno. 
    Cio' stante, in assenza di profili di  imputabilita'  (in  quanto
riconosciuto incapace di intendere e di volere) in capo  al  soggetto
destinatario dell'applicazione di una misura di  sicurezza  personale
ex art. 215 del  codice  penale,  puo'  dubitarsi  che  i  menzionati
profili di obiettiva pericolosita' sociale del soggetto medesimo (che
costituiscono  il  presupposto  dell'applicazione  della  misura   di
sicurezza   personale   in   questione),   possano    ragionevolmente
legittimare l'automatica adozione di un provvedimento di destituzione
di diritto, cosi' come stabilito dalla norma  in  esame  (contra  TAR
Catania n. 541  del  27  marzo  2007,  che  ha  ritenuto  palesemente
infondata la questione di costituzionalita' della norma in  esame  in
ragione della «pericolosita'  sociale»  del  soggetto  cui  e'  stata
applicata la misura di sicurezza personale ex  art.  215  del  codice
penale, in considerazione, altresi', della  delicatezza  dei  compiti
cui sono chiamati gli appartenenti alla Polizia di Stato). 
    Premesso che le esigenze connesse alla  delicatezza  dei  compiti
cui sono chiamati gli appartenenti alla Polizia di Stato, giustamente
evidenziate nella citata sentenza del TAR Catania,  possono  comunque
essere tutelate e fatte salve  come  sara'  di  seguito  evidenziato,
ritiene invece  il  collegio  che,  pur  debitamente  considerati  i'
menzionati profili di obiettiva pericolosita'  sociale  del  soggetto
destinatario dell'applicazione di una misura di  sicurezza  personale
ex art. 215 del codice penale, nel caso  di  specie,  debbano  essere
altresi'  debitamente  considerati  non   solo   la   gia'   rilevata
circostanza  dell'assenza,  nel  caso  di  specie,  di  profili   di.
imputabilita'  in  capo  al  ricorrente  (riconosciuto  incapace   di
intendere e di volere a cagione di vizio totale di mente, al  momento
dei fatti), ma altresi' i rilevanti aspetti di ordine sanitario e  di
natura medico-psichiatrica, cosi' come  riconosciuti  sussistenti  in
sede penale; con la conseguenza che puo' dubitarsi della legittimita'
costituzionale  della  norma  che  stabilisce   in   via   automatica
l'adozione  di  un  provvedimento  di  destituzione  di  diritto   in
conseguenza dell'applicazione della misura di sicurezza personale  in
questione, per possibile violazione  degli  articoli  3  e  97  della
Costituzione, in considerazione dell'oggettiva  natura  sanzionatoria
della destituzione di diritto, che  puo'  ritenersi  non  adeguata  e
giustificata in ragione delle predette peculiarita' della fattispecie
concreta in esame, potendosi invece ritenere  piu'  adeguata  a  tale
fattispecie - in cui, si ribadisce, rivestono decisiva rilevanza  sia
la circostanza dell'assenza di profili di imputabilita'  in  capo  al
soggetto destinatario dell'applicazione  della  misura  di  sicurezza
personale, sia l'ulteriore circostanza della sussistenza, nel caso di
specie, di «emergenze di natura medico-psichiatrica» come rilevate in
sede penale - una valutazione in ordine alla  permanenza  o  meno  in
capo al soggetto interessato dei necessari requisiti  psicofisici  il
cui possesso e' richiesto ed e' necessario ai fini del permanere  del
rapporto di  pubblico  impiego,  con  conseguente  valutazione  della
posizione del soggetto interessato in termini di idoneita' o meno  al
servizio, anziche' in termini di automatica destituzione di  diritto,
considerato  altresi'  che  tale  valutazione  della  posizione   del
soggetto interessato in termini  di  idoneita'  o  meno  al  servizio
consentirebbe comunque  di  salvaguardare  e  garantire  le  esigenze
connesse  alla  delicatezza  dei  compiti  cui  sono   chiamati   gli
appartenenti alla Polizia di  Stato,  giustamente  evidenziate  nella
citata sentenza del TAR  Catania  n.  541  del  27  marzo  2007,  che
pertanto  verrebbero  comunque  fatte  salve  anche   a   prescindere
dall'applicazione, nel caso di specie,  dell'automatica  destituzione
di diritto. 
    Per le suesposte considerazioni,  ritenuta  la  rilevanza  e  non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 8, primo comma, lettera  c),  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 737 del 25 ottobre 1981, in forza del quale,  col
provvedimento impugnato,  e'  stata  applicata  nei  confronti  della
ricorrente la  destituzione  di  diritto,  per  possibile  violazione
dell'articoli 3 e 97 della Costituzione, deve pertanto sollevarsi  la
relativa questione di legittimita' costituzionale, con la conseguente
sospensione del giudizio e la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale.